Lettera aperta: “debito pubblico e speculazione”

Riceviamo e pubblichiamo integralmente alcune considerazioni riportate su una lettera aperta riguardante il debito pubblico e la speculazione del dott.Vito Antonio Spagnulo, incontrato nel 2013 presso il suo studio di Grottaglie, e lo facciamo come anticipazione di una serie di filmati realizzati durante il primo ‘Economy Day’ che si è svolto a Grosseto nei giorni scorsi e che ha visto la partecipazione di importanti relatori sul momento economico attuale.

Il dott.Spagnulo si occupa praticamente in tutta Italia di salvaguardia delle aziende dalla particolare situazione dei rapporti con la banche che sono ormai viste quasi come ‘nemiche’ invece che partners delle attività produttive sia per il particolare momento economico sia per scelte e prese di posizione non sempre così chiare in un rapporto che vede sbilanciato verso gli istituti di credito l’ago della bilancia del potere contrattuale.

Il tema è certamente oggi, e lo sarà maggiormente già dal prossimo 1° aprile 2014, spinoso vista la cronica mancanza di liquidità che affligge tutti i settori produttivi (e di conseguenza tutti i cittadini) ormai ridotti allo stremo da una finanza pubblica che certo non eccelle nella gestione del patrimonio sia questo pubblico che privato. Un’immagine realistica di ciò che stà accadendo viene riassunta dal paradosso di Churchill “Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prosperosa, è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”. Questo stiamo facendo, ma per chi? 

Il dott.Vito Antonio Spagnulo ci scrive:

LETTERA APERTA

 Le notizie che si rincorrono sul debito pubblico degli stati sovrani e le conseguenze nefaste che potrebbero derivarne da una non ponderata ed approfondita ricerca delle soluzioni, mi hanno portato ad una serie di riflessioni personali che sento l’obbligo morale di esteriorizzare.

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DISSONANZE FINANZIARIE

“debito pubblico e speculazione”

 

Le banche raccolgono i capitali dai risparmiatori, per lo più famiglie, e li forniscono,  sotto   forma   di   prestiti   alle   imprese   per   far   fronte   ai   loro investimenti, e alle famiglie per far fronte ai loro acquisti (casa e beni mobili).

 Le banche pertanto, anche se imprese private a scopo di lucro, hanno una funzione sociale in quanto agevolano la circolazione del denaro destinando lo stesso ai nuovi investimenti delle imprese e alle necessità delle famiglie, e garantiscono i depositi dei risparmiatori attraverso le riserve obbligatorie.

 La prima banca in senso moderno è stata il “Banco di San Giorgio” – Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio fondata nel 1407 a Genova.

Le banche pagano gli interessi ai risparmiatori riscuotendo dai loro clienti gli interessi dovuti sui prestiti fatti e le commissioni per i servizi resi, lucrando sulla differenza dei tassi (spread tra i tassi attivi e passivi) e sui servizi resi.

I  soggetti  che  ricorrono  al  credito  possiamo  dividerli  in  “meritevoli”  e immeritevoli”; questi possono essere “bisognosi” e “non bisognosi”.

E’ evidente che le banche prestano il denaro dei loro risparmiatori ai soggetti “meritevoli bisognosi” e “meritevoli non bisognosi”, tralasciando gli “immeritevoli”.

Il tasso applicato varia ed è determinato in base alla rischiosità che la banca assume con la erogazione del prestito; in genere il tasso applicato è più alto se il rischio viene ritenuto più elevato (soggetti “meritevoli bisognosi”), molto basso se il rischio è quasi nullo (soggetti “meritevoli non bisognosi”).

 In genere siamo abituati a pensare che al prestito di denaro ricorrano solo le imprese ed in misura marginale le famiglie, difficilmente ci viene in mente che sempre maggiori capitali vengono richiesti dagli stati sovrani.

 Quando al prestito ricorrono le imprese, la valutazione viene fatta sulla solidità dell’impresa richiedente, sulla fattibilità dell’investimento che l’impresa stessa intende portare a temine con il denaro richiesto, e sulle garanzie offerte dagli interessati all’investimento; in tal caso per l’impresa gli interessi da pagarerappresentano un costo previsto nell’attività aziendale o nell’investimento, etroveranno copertura nei ricavi della attività svolta o da intraprendere.

 Quando al prestito ricorrono i privati, la valutazione viene fatta sulla certezza del reddito del soggetto richiedente, derivante in molti casi da retribuzione o tal volta da rendite immobiliari; in tal caso per il privato gli interessi da pagare rappresentano una quota del proprio reddito ritenuto certo.

Tutto questo ci è stato insegnato a scuola.

Negli ultimi decenni, le banche hanno voluto aumentare la loro redditività assumendosi in molti casi anche il rischio delle imprese per ottenere dalle stesse non solo gli interessi pattuiti, ma anche una quota dei loro utili; con la eliminazione delle norme di conflitto di interessi che proibivano alle stesse di sottoscrivere, detenere, vendere o comprare titoli di imprese private, avvenuta all’inizio degli anni novanta, le banche non solo hanno assunto rischi di impresa che certamente non erano coperti dalle riserve obbligatorie poste a garanzia dei depositi dei risparmiatori, ma fatto deleterio, è che hanno anche invaso la sfera imprenditoriale limitando la libertà degli imprenditori, e hanno determinato inmolti casi il futuro dell’impresa secondo i propri interessi.

In tal modo gli imprenditori indebitati con le banche non sono più indipendenti nelle loro scelte imprenditoriali ma devono arrendersi alle esigenze di rientro delle banche creditrici e soccombere come impresa.

Sono sotto gli occhi di tutti i danni all’economia creati da banchieri poco onesti che in evidente conflitto di interessi hanno collocato presso i propri depositanti titoli   emessi   da   imprese   da   loro   affidate   utilizzati   esclusivamente  per rimborsare   prestiti   concessi   a   imprese   ritenute   prossime   al   fallimento, scaricando così le perdite sugli ingenui risparmiatori, portando le aziende alla chiusura.

E’ evidente che in futuro dovrà essere fatto divieto ai soggetti che raccolgono il risparmio (banche, assicurazioni, etc..) di destinare lo stesso ad investimenti a rischio (bond, titoli strutturati o altro) obbligandole a farsi carico dei rischi e al rimborso  dell’intero  capitale  al  risparmiatoresanzionando,  anche penalmente, comportamenti contrari o difformi a tali obblighi.

Tutto ciò al fine di evitare quanto già accaduto negli ultimi anni, e cioè che con una scorretta liberalizzazione è stata consentita la espropriazione del risparmio attraverso la trasformazione dei risparmiatori in piccoli raider speculativi, sui quali sono stati scaricati titoli tossici, bond emessi da società prossime al fallimento, azioni e titoli rappresentativi di materie prime i cui valori erano stati pilotati al rialzo dagli speculatori, che guarda caso, hanno venduto i loro titoli prima del crollo dei prezzi.

Quando al prestito ricorrono gli stati sovrani, lo fanno per coprire esigenze di cassa venutesi a creare perché le entrate (in genere tributarie) non hanno coperto il totale delle spese statali sostenute per mantenere la struttura pubblica di servizio e di difesa, e lo stato sociale.

Il prestito richiesto degli stati sovrani essendo destinato a coprire le spese per mantenere la struttura pubblica e lo stato sociale, non produce alcun reddito che consenta il pagamento degli interessi ed il suo rimborso.

Oggi sono sempre più le banche di affari e i fondi privati che sottoscrivono, detengono, vendono e comprano titoli di debito emessi da stati sovrani, alle quali si sono uniti i fondi di proprietà di altri stati sovrani che detengono invece surplus di cassa da investire.

E’ evidente che quando uno stato sovrano debitore, da una condizione di “soggetto   meritevole   bisognoso”   viene   ritenuto   “soggetto   immeritevole bisognoso”, i creditori (banche, fondi privati e fondi sovrani di altri stati), attraverso un pilotato rialzo dei tassi di interessi, giustificato dalla mancanza di fiducia creata più dai “rumors” che da reali pericoli, invadono la sfera decisionale della classe politica limitando la loro libertà, portando a termine in molti casi obiettivi contrastanti con il bene pubblico (appropriazione di risorse che possono essere il risparmio dei cittadini o naturali, appropriazione di imprese pubbliche importanti in settori delicati, etc…).

Sono sotto gli occhi di tutti i danni all’economia europea e mondiale creati da banche d’affari, fondi privati e fondi sovrani di stati, che in evidente conflitto di interessi, hanno messo in difficoltà interi stati senza produrre alcuna prova dei reali pericoli di insolvenza, ma creando i presupposti di una possibile insolvenza attraverso un pilotato rialzo dei tassi di interesse, scommettendo sulla insostenibilità degli stessi da parte di alcuni stati debitori.

Poiché la crisi che stiamo vivendo è solo finanziaria e riguarda in particolare il finanziamento del debito pubblico, dovrà essere immediatamente portata a termine una grande riforma bancaria italiana ed europea che stimoli e tuteli il risparmio, nello spirito e con le finalità espresse dai Costituenti nell’art. 47 della nostra Costituzione, indirizzando lo stesso a sostenere il debito pubblico.

E’ necessario riformare immediatamente con urgenza le modalità di accesso al credito da parte degli stati sovrani, perché gli stessi non perseguendo fini privatistici ma pubblici, non possono e non devono rivolgersi a soggetti finanziatori che invece perseguono fini speculativi, che limitano la loro indipendenza politica.

Poiché gli stati sovrani perseguono finalità pubbliche, devono trovare le risorse per finanziarsi convincendo i propri cittadini, beneficiari degli investimenti pubblici, a indirizzare i loro risparmi per l’acquisto di titoli di debito pubblico.

Non si può consentire che uno stato sovrano indebitato con banche, fondiprivati e fondi di altri stati, possa perdere la propria indipendenza non solo finanziaria ma anche politica, neanche quando, come in alcuni casi, il debito è stato creato da una classe politica dissennata, perché a pagarne le spese non è la classe politica che ha creato il debito ma l’intera popolazione ed anche le generazioni future.

Non si può risanare il debito pubblico di uno stato sovrano (per esempio la GRECIA) utilizzando esclusivamente ricette e metodi impiegati per risanare il debito di una azienda privata (licenziamenti, riduzione della spesa e dello stato sociale, etc..); bisogna invece attuare soluzioni graduali e di lungo periodo, salvaguardando la pace sociale che se minata, il suo recupero avrà costi di gran lunga superiori agli improbabili benefici ottenuti con un risanamento condotto con ricette e metodi privatistici.

Non si può permettere che nell’Europa solidale possa diffondersi l’odio tra cittadini europei originato da comportamenti ritenuti punitivi creati da una classe politica miope di altri stati europei che cercano di giustificarsi con i propri elettori di errori commessi da una intera classe politica e tecnica che non ha voluto né saputo approvare norme che non avrebbero dovuto consentire una tale situazione.

Prima di un qualsiasi provvedimento percepito come “punitivo” nei confronti dei cittadini di uno stato comunitario sovrano ritenuto finanziariamente “soggetto immeritevole bisognoso”, la classe politica europea deve valutare i costi che l’intera Europa dovrà affrontare in futuro per recuperare la pace sociale, lo spirito di solidarietà, l’immagine di soggetto politico accogliente, e ricordarsi che l’Europa ha impostato la sua nascita sul principio che qualsiasi contenzioso politico e sociale debba essere risolto salvaguardando in primis la pace sociale fra cittadini e popoli, qualunque sia il costo politico e/o finanziario.

La nostra classe politica deve comprendere che il problema è solo finanziario ed è esploso per la grande anomalia (dissonanza finanziaria) di avere fatto finanziare il debito di stati sovrani che mirano all’interesse pubblico ed allapace sociale, da banchieri, fondi privati e sovrani, che invece mirano all’interesse privato e speculativo, e forse ad altro.

L’unica fonte finanziaria che potrà risolvere tale situazione è rappresentata dal risparmio.

In tutte le soluzioni proposte da politici e tecnici nessuno discute di come stimolare, tutelare e indirizzare il risparmio verso il sostegno del debito pubblico.

Una  grande  riforma  italiana  ed  europea  dovrà  stimolare  e  tutelare  il risparmio, prevedendo, oltre ad una serie di agevolazioni fiscali e tutele giuridiche,  la  possibilità  di  utilizzare  i  titoli  pubblici emessi  dagli  stati sovrani comunitari, come mezzo di pagamento nelle operazioni di compravendita di beni mobili e immobili in tutti gli stati comunitari.

Inoltre i soggetti che raccolgono il risparmio (banche, assicurazioni, etc..), per legge,  dovranno avere l’obbligo di rimborsare al risparmiatore l’intero capitaledepositato, qualunque sia il tipo di investimento proposto ed effettuato, e non dovranno più sottoscrivere, detenere, vendere o comprare titoli di imprese private.

La BCE dovrà determinare il tasso di riferimento dei titoli emessi da tutti glistati membrimentre dovrà essere lo stato emittente a stabilire lo spread a favore dei propri risparmiatori sottoscrittori che si sostituiranno agli attuali detentori  dei  titoli  pubblici;  in  tal  modo  gli  interessi  pagati  dallo  stato emittente andranno a beneficio di privati risparmiatori, incrementando il PIL interno e/o europeo, e non a beneficio di speculatori con interessi contrastanti con il bene pubblico.

La BCE   dovrà garantire la liquidità immediata dei titoli pubblici emessi intervenendo nelle operazioni di acquisto e/o vendita da parte dei privati possessori dei titoli non in scadenza, attraverso l’utilizzo di risorse delle varie banche centrali e/o di altri istituti; in Italia ad esempio attraverso l’utilizzo delle risorse della Cassa Depositi e Prestiti, del risparmio postale, etc..; le varie banche centrali ricollocheranno i titoli pubblici presso i risparmiatori dello stato membro emittente o di altri stati comunitari.

Dovrà essere fatto divieto agli investitori istituzionali (banche, fondi privati e fondi sovrani di altri stati) di sottoscrivere titoli di debito pubblico, tranne quellisottoscritti per conto di cittadini risparmiatori dello stato emittente o di altrostato comunitario.

I titoli di debito pubblico emessi dagli stati sovrani attualmente in circolazione, dovranno essere sostituiti da altri titoli emessi della durata di anni cinquanta prevedendo il rimborso annuale di un cinquantesimo del capitale ed il pagamento di interessi; gli stessi dovranno essere collocati al momento presso gli attuali detentori in sostituzione di quelli in loro possesso, al tasso di riferimento che la BCE determinerà per tutti gli stati membri; i detentori di tali titoli potranno utilizzarli come mezzo di pagamento nelle operazioni di compravendita di beni mobili e immobili in tutta il territorio comunitario; in talmodo sarebbero immediatamente eliminate le aste quasi giornaliere di titoli didebito pubblico e le conseguenti tensioni finanziarie “giornaliere”.

Una semplice domanda ai nostri politici e tecnici, se il problema è rappresentato dalla percentuale del debito pubblico sul P.I.L., come mai il Giappone che ha un debito pubblico pari al 250% del P.I.L., non ha problemi di default e finanza pubblica ????????????????, forse i giapponesi hanno compreso prima dell’Europa che il risparmio va tutelato e che il debito pubblico non va fatto sottoscrivere dagli speculatori.

Grottaglie lì, 21 Marzo 2014.

Vito Antonio Spagnulo                    


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